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Alzheimer, ecco perché la malattia colpisce soprattutto le donne

Scoperti nuovi fattori cerebrali e genetici legati al maggiore rischio di contrarre la malattia

«Verrà un giorno» affermò Lucio Anneo Seneca, «in cui il passare del tempo e l’esplorazione assidua dei secoli porterà alla luce quello che ancora ci sfugge». Per quanto il pensatore romano non nutrisse una fede cieca nel progresso scientifico – che deve lasciarsi orientare dalla filosofia verso la saggezza -, le sue Naturales Quaestiones sottolineano che lo sviluppo tecnologico è fondamentale per le nuove scoperte.

Come quelle presentate a Los Angeles in occasione dell’Alzheimer’s Association International Conference, che hanno iniziato a gettare luce su uno dei misteri ancora irrisolti della famigerata patologia: l’evidenza che essa tende a colpire, in netta prevalenza, soggetti di sesso femminile – si pensi che, secondo statistiche diffuse poco meno di un anno fa, le donne rappresentano i 2/3 del totale mondiale dei malati di Alzheimer.

Gli scienziati non erano concordi su come interpretare questo dato. La maggior parte dei ricercatori sosteneva che dipendesse dalla maggior longevità delle donne, ma non era l’unica ipotesi in campo. Ora, però, due studi condotti separatamente dalla Vanderbilt University di Nashville e dall’Università di Miami hanno mostrato che alla base di questo squilibrio di genere potrebbero esserci fattori sia genetici che anatomici.

In realtà, il principale fattore di rischio per lo sviluppo dell’Alzheimer – se così lo si vuole chiamare – è l’invecchiamento. L’incidenza della patologia, infatti, aumenta gradualmente oltre i 65 anni di età, raggiungendo percentuali particolarmente significative oltre gli 80-85 anni.

Nessuna sorpresa, allora, che si tratti di una malattia emersa solo di recente, con l’allungamento della vita media. Seneca, per dire, difficilmente avrebbe potuto esserne testimone, considerando che in epoca romana si viveva mediamente 30-40 anni. Forse, però, se fosse nato ai giorni nostri si sarebbe interrogato sulla bontà di un progresso che riesce ad allungare la vita – ma non a migliorarne la qualità…

L’ Alzheimer, infatti, è in assoluto una delle patologie dall’impatto socio-economico maggiore, anche per la perdita di autosufficienza da parte dei pazienti e per l’assenza di terapie risolutive. La malattia colpisce principalmente la memoria, ma non risparmia neppure il linguaggio e la coordinazione motoria. A livello microscopico, essa è legata soprattutto al sorgere di anomalie in due particolari proteine – la β-amiloide e la tau -, che risulta nella distruzione dei neuroni, le principali cellule che costituiscono il cervello.

La ricerca di Nashville si è concentrata proprio sulla proteina tau, e in particolare sulle zone cerebrali in cui essa viene prodotta. Si è così scoperto che, nel cervello delle donne, queste aree sono più densamente interconnesse, il che è probabilmente alla base della maggiore diffusione della proteina – e dei maggiori danni da essa prodotti.

Per fare un paragone, è come se i neuroni fossero una serie di città collegate tra loro da autostrade: più arterie di comunicazione ci sono, più i viaggi e i trasporti saranno efficaci. Ma questo vale sia per i pendolari che per i terroristi. E le proteine tau anomale intaccano soprattutto l’ippocampo, una piccola struttura che svolge un ruolo cruciale nella memoria, nel linguaggio e nella rappresentazione del tempo e dello spazio. È proprio il maggior numero di autostrade cerebrali, allora, a tradire il gentil sesso, favorendo gli spostamenti delle sostanze killer e agevolando in tal modo il declino cognitivo.

E non c’è solo la biologia a tramare contro le donne. Lo studio di Miami ha infatti individuato 73 geni associati a un maggior rischio di sviluppare l’Alzheimer: ma tale rischio è significativo solo per le donne.

Ancora non è chiaro se e come queste scoperte possano condurre all’identificazione dei soggetti predisposti alla malattia e, soprattutto, di eventuali terapie. Al momento, ciò che è noto è che la pratica di attività intellettuali, il plurilinguismo e l’attività fisica ritardano l’insorgenza e la progressione dell’Alzheimer.

Ma, come sosteneva Seneca, è solo questione di tempo. Prima o poi le verità nascoste saranno svelate. La scienza, dopotutto, nasce per rispondere alle domande. Soprattutto a quelle che essa stessa genera..