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La sesta Provincia del Lazio e il pasticciaccio delle province italiane

Fiumicino, la darsena

Fiumicino, la darsena

Si sostiene che ci siano ambiti troppo ampi per essere affidati ai Comuni e troppo piccoli perché se ne occupi la Regione o lo Stato. Un’assurdità

E’ stato il sindaco di Fiumicino, Mario Baccini, a farsi promotore dell’iniziativa che secondo le sue intenzioni dovrebbe portare la città costiera di oltre 80 mila abitanti e altri comuni dell’hinterland a formare la sesta provincia del Lazio oltre a Viterbo, Rieti, Frosinone, Latina e naturalmente Roma.

Hanno fatto un gran “casino” nel riordinamento delle Province

Quello che possiamo dire adesso è che, come al solito, per attuare un taglio a spese superflue e razionalizzare l’organizzazione delle funzioni locali, siamo riusciti a creare un casino burocratico. Il Ddl di riforma dell’amministrazione locale è risultato subito ben lontano dagli obiettivi di semplificazione e razionalizzazione che avrebbe dovuto perseguire. L’assetto istituzionale che ne esce appare frammentato, mentre non c’è chiarezza sulle funzioni attribuite a ciascun ente. Lasciamo da parte le province autonome, come Trento e Bolzano che sono equiparabili più a istituti regionali e la riorganizzazione delle province nelle regioni a Statuto speciale come Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia.

Ci sono più capoluoghi che province e non se ne capisce l’utilità se non per accontentare l’ego dei funzionari locali

I capoluoghi provinciali sono 111, a fronte di 107 suddivisioni di livello provinciale (province, città metropolitane, liberi consorzi comunali ed enti di decentramento regionale). Perché ci sono province costituite da tre capoluoghi come Barletta-Trani-Andria o da due come Pesaro-Urbino e Forlì-Cesena. Infine Carrara è diventata capoluogo equiparata a Massa dal 30 gennaio di quest’anno.  La spesa corrente delle province nel 2018 è stata di 6,7 miliardi di euro. La spesa per investimenti è scesa a 1,1 miliardi (-58,8% sul 2011). Da cui si evince che sono ridotte le funzioni e i funzionari. Infatti sono 911 i consiglieri, che prima della riforma Delrio erano 2.103! Gli assessori con incarichi di Giunta sono ormai 27 nelle province di Trieste, Trento, Bolzano, Udine, Gorizia, mentre prima del 2013 erano 570.

Nel 2020 il totale delle spese impegnate nelle Province ammonta a 8.106 milioni di euro, il totale di quelle pagate 7.833 milioni. Di questo totale 2.954 milioni sono le spese impegnate e 2.775 le spese pagate da imputare alle Città Metropolitane. Con una tendenza alla diminuzione rispetto al 2019 dell’ordine del 7-10%. (Fonte: Istat)

Gli Enti inutili servono a ricollocare amici e funzionari usciti dal giro

È opinione diffusa che alla fine anche le province potrebbero rinascere. Come cittadini abbiamo capito la ragione per cui non si vogliono abolire del tutto, tirando un bel tratto sopra quelle realtà. Le Province e certi enti inutili come il Cnen, che doveva occuparsi di studi sulle applicazioni dell’energia nucleare, poi dal 1991 è diventato Ente per le Nuove tecnologie Energia e Ambiente e il Sogin, che doveva smaltire e mettere in sicurezza le aree coi rifiuti nucleari e non ha fatto nulla in più di trent’anni.

Sono tutti carrozzoni succhia soldi. Prevedono sedi, materiali, consiglieri, assessori, presidenti, insomma finanziamenti da parte dello Stato e servono a collocare funzionari espulsi dagli altri organismi o trombati alle elezioni politiche o locali per assicurare loro un prosieguo di vita adeguato ai servigi prestati, ma non ai cittadini, al potere costituito.

In Italia sempre si complicano le cose semplici. Per accontentare tutti si fanno dei guazzabugli inverecondi

Il problema, oltre al caos organizzativo, è questa moltiplicazione dei centri decisionali che alla fine non possono decidere nulla, vuoi per carenza di fondi, vuoi perché le loro competenze cozzano o si sovrappongono a quelle di altri enti, in particolare Comuni e Regioni. Oggi le province presentano almeno tre punti critici: l’elezione diretta del presidente del consiglio provinciale, l’incertezza del quadro finanziario in cui operano e le difficoltà a riordinare le funzioni di cui dovrebbero occuparsi, e cioè sempre meno e sempre più marginali.

Si sostiene che ci siano ambiti troppo ampi per essere affidati ai Comuni e troppo piccoli perché se ne occupi la Regione o lo Stato. Un’assurdità. Non stiamo parlando del Texas o dell’Alaska. A me pare che Comuni e Regioni siano più che sufficienti come istituzioni per occuparsi di ogni parte del territorio. Tutt’al più si possono costituire Comunità di Comuni nel caso di questioni inerenti zone con problemi assimilabili, come quelle di montagna o costiere.