Mes e Bce, nuovo atto. Poiché anche certe avversioni «fanno dei giri immensi e poi ritornano», anche le due vexate quaestiones si sono riprese prepotentemente la scena. E, ancora una volta, per l’Italia non ci sono buone notizie.
Mes e Bce, altro che solidarietà europea
Com’è ormai arcinoto, sulle misure economiche anti-coronavirus l’Europa è spaccata in due. Da un lato il blocco del Nord, ferreo sostenitore del rigore, dall’altro gli Stati del Sud che da sempre invocano maggiore solidarietà.
L’ultimo Consiglio Ue aprilino aveva trovato un compromesso nella formula del Mes senza condizionalità. Significava – o doveva significare – che i Paesi maggiormente colpiti dalla pandemia avrebbero avuto la facoltà di attivare una linea di credito straordinaria. Una liquidità pari al 2% del Pil (che per l’Italia equivarrebbe a circa 37 miliardi), riservata esclusivamente alle spese sanitarie necessarie a combattere il Covid-19. E che, proprio per questo motivo, doveva essere libera dai pesantissimi vincoli (per gli amici, troika) che gravano su chi ricorre al Fondo salva-Stati.
Doveva, perché ora è spuntato un documento che il Ministro delle Finanze olandese Wopke Hoekstra ha trasmesso al proprio Parlamento in vista dell’imminente Eurogruppo. Il testo esplicita l’intenzione dei tulipani di porre – tu guarda – una serie di condizioni per autorizzare la concessione degli aiuti contro il virus.
Condizioni nel Mes senza condizioni
Anzitutto, L’Aja vuole dagli eventuali Stati beneficiari la firma di un memorandum che li impegni a usare il finanziamento solo per l’esborso medico legato all’epidemia. Inoltre, chiede che la potenza di fuoco sia «disponibile solo per la durata della crisi Covid-19» e che le procedure «siano seguite in modo adeguato». Vale a dire, previa analisi sui rischi per la stabilità finanziaria, sulla sostenibilità del debito e sulle esigenze di finanziamento. Infine, la durata dei prestiti dovrebbe essere «inferiore rispetto ai precedenti programmi» del Meccanismo Europeo di Stabilità.
Già, perché per l’Olanda si dovrebbe trattare sempre di prestiti, non degli auspicati trasferimenti a fondo perduto. Però, bontà loro, gli Oranje ritengono che i tassi d’interesse possano essere ridotti, purché restino superiori ai costi di finanziamento sostenuti sempre dal Mes.
In sostanza è il concretizzarsi, in tempi perfino più rapidi del previsto, dei timori espressi praticamente dall’intero arco costituzionale italiano. Cioè da tutti, meno i giulivi ingenuotti del Pd – cui poi si è accodato il M5S causa terrore di perdere le poltrone.
Noi stessi, in tempi non sospetti, avevamo definito inspiegabile l’esultanza del Governo rosso-giallo dopo le recenti riunioni comunitarie. Purtroppo o per fortuna, siamo stati buoni profeti.
L’Opa tedesca sulla Bce
Notoriamente, la legge di Murphy afferma che «se qualcosa può andar male, lo farà». Perciò, dato che il voltafaccia dei Paesi Bassi non era abbastanza, a far piovere sul bagnato ci ha pensato la Corte Costituzionale tedesca. La quale, sollecitata sull’acquisto di titoli di Stato da parte della Banca Centrale Europea a partire dal 2015, ha parzialmente accolto le “ragioni” dei ricorrenti.
Per i giudici di Karlsruhe, il programma di Quantitative Easing avviato dal rimpiantissimo Mario Draghi non si configura come finanziamento dei debiti pubblici statali. Tuttavia, ritengono che abbia deviato dal principio di proporzionalità, per esempio – guarda un po’ – nei confronti dell’Italia. La quale pesa per il 15,6% nel capitale della Bce, benché l’acquisto dei suoi titoli ammonti a oltre il 30% del totale. Ça va sans dire, il fatto che Berlino, a differenza di Roma, possa stampare moneta non è stato minimamente preso in considerazione.
C’è poi il piccolo dettaglio che, nel 2018, la Corte di Giustizia europea, interpellata proprio dalla Consulta teutonica, aveva sancito la legittimità delle azioni dell’istituto francofortese. Ora, però, gli stessi togati tedeschi hanno sprezzantemente rigettato la sentenza dei colleghi comunitari, accusandoli di un approccio metodologico inadeguato.
Diritto e rovescio
La reazione stizzita (eufemismo) di Bruxelles non si è fatta attendere. «Riaffermiamo il primato della legge europea e il fatto che le decisioni della Corte europea sono vincolanti su tutte le Corti nazionali». Così un portavoce della Commissione europea, ricordando che il diritto continentale è sovranazionale. Altrimenti, la giustizia comunitaria dovrebbe smetterla con le ingerenze – ma in tutti i Paesi membri, visto che la Germania non è più uguale degli altri.
Peraltro, i giudici federali di Karlsruhe hanno anche fatto insinuazioni (del tutto indimostrate) sull’utilità e l’impatto del QE. Che si riverberebbe sulla sopravvivenza di aziende, a loro dire, economicamente insostenibili.
Nient’altro che congetture, ma sufficienti, secondo la Corte teutonica, a dare alla Bce tre mesi di tempo per dimostrare che gli obiettivi di politica monetaria erano proporzionati. Curioso come proprio degli alfieri del diritto ignorino che l’onere della prova non spetta mai a chi si difende. A maggior ragione perché, in mancanza di questo (indebito) chiarimento, gli ermellini tedeschi potrebbero imporre alla Bundesbank di ritirarsi dai programmi della Bce. Una vera e propria Opa ostile sull’istituto di Francoforte.
Mes e Bce, verso un’Unione tedesca?
Una simile imposizione avrebbe effetti anzitutto sul programma principale della Banca Centrale Europea, l’acquisto dei bond sovrani. Ma si ripercuoterebbe anche sul piano di acquisti da 750 miliardi lanciato in risposta all’emergenza Covid-19.
L’Italia, come Francia e Spagna, potrebbe dunque avere molte difficoltà ad accedere a quel “bazooka” che ha salvato l’euro – e di cui c’è bisogno per debellare il coronavirus. E rischierebbe quindi di finire con tutte le scarpe nella brace del Fondo salva-Stati – che del resto penalizzerebbe anche i nostri vicini mediterranei. Questa, almeno, l’accusa rivolta dalla leader di FdI Giorgia Meloni alla cancelliera Angela Merkel.
Mes e Bce, quindi, come grimaldello dei Tedeschi, e a monte ciò che fa più specie è proprio la loro arroganza. Padronissimi, ci mancherebbe, di considerare l’Europa come una propria dépendance. Tuttavia, se l’Unione Europea dovesse esplicitamente trasformarsi in Unione teutonica, non si capisce perché l’Italia dovrebbe continuare a farne parte. E questo, a livello puramente economico, non converrebbe neppure alla Germania.
Lo sapremo presto. E altrettanto presto capiremo se c’è davvero un giudice a Berlino.
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