La nuova frontiera dell’economia si chiama Recovery Italia. Lo ha annunciato il bi-Premier Giuseppe Conte, forse nella speranza di ravvivare degli Stati Generali fin qui molto deludenti. Più del nome, però, bisognerebbe preoccuparsi delle tempistiche. Questione di cui, se non altro, lo stesso Presidente del Consiglio ha mostrato di essere ben consapevole.
Il cavallo di Trojka
«Una decisione tardiva sarebbe già di per sé un fallimento» ha sottolineato il Signor Frattanto che, stante il soprannome, di dilazioni se ne intende parecchio. Si riferiva al Recovery Fund o Recovery Plan o Next Generation Eu o comunque si voglia chiamare il piano europeo che dovrebbe sostenere la ripresa.
Ha ragione, naturalmente, solo che gli auspici sono una cosa, la realtà un’altra. Per istituire o anche modificare un trattato internazionale, infatti, serve l’unanimità del Consiglio Ue – che si riunirà venerdì 19. E poi la ratifica di tutti i Parlamenti nazionali.
Al momento, però, anche solo l’accordo in sede comunitaria è lontanissimo, considerate le forti resistenze dei “quattro frugali” nordici e del blocco orientale di Visegrád. I quali spingono per l’eliminazione dei sussidi, l’imposizione di severe condizionalità sui prestiti e la riduzione della dotazione e della durata del fondo.
Sono gli stessi motivi per cui tre quarti delle Camere italiane diffidano del Mes, su cui infatti l’inquilino di Palazzo Chigi continua a mostrare cautela. Perché è chiaro che, se davvero l’Europa mettesse a disposizione 36-37 miliardi, anche con l’obbligo di destinarli alle spese sanitarie, sarebbe folle non servirsene. Ma non è sufficiente un gentlemen’s agreement per cambiare le regole del Fondo salva-Stati, che può sempre essere un cavallo di Trojka. E i nostri cosiddetti partner europei hanno dimostrato in più occasioni di non essere il massimo dell’affidabilità.
A settembre il Recovery Italia
Non è un caso che il Capo del Governo abbia ammesso che l’imminente appuntamento di Bruxelles sarà solo un incontro interlocutorio. Non foss’altro perché manca ancora «la proposta formale di un nuovo quadro finanziario pluriennale da parte del presidente del Consiglio europeo Charles Michel».
Giuseppi ne ha parlato durante un’informativa a Montecitorio che, in qualche modo, aveva un analogo valore consultivo, nel senso che non prevedeva una deliberazione parlamentare. Come invece sarebbe accaduto nel caso in cui il fu Avvocato del popolo avesse tenuto una comunicazione. Era un mero tecnicismo, e tuttavia anche una questione di sopravvivenza. Pare infatti che alcuni grillini siano così allergici al Meccanismo Europeo di Stabilità da essere disposti a votare contro l’esecutivo a costo di farlo cadere.
Eppure, un po’ in contraddizione, sul Recovery Italia il BisConte ha assicurato che l’ultima parola spetterà alle Camere. D’altronde ha anche precisato che il piano arriverà a settembre, quasi a smentire (ulteriormente) se stesso dopo il monito sui ritardi.
Di fatto, date le premesse è un percorso obbligato, il che tuttavia non ha fatto scemare l’irritazione delle opposizioni, che invocano strumenti economici totalmente differenti. Per la Lega, ad esempio, «la via maestra sarebbe un incremento degli acquisti di titoli di stato da parte della Bce». Così il presidente dei deputati del Carroccio Riccardo Molinari, secondo cui il Premier «da avvocato degli Italiani si è trasformato nel commissario liquidatore».
Tra gli Stati Generali e il Recovery Italia
Un clima, quindi, ben lontano da quella coesione nazionale che Conte si augurava. E che non ha trovato neppure a Villa Pamphilj, dove Carlo Bonomi, numero uno di Confindustria, è andato pesantemente all’attacco.
Ça va sans dire, la posizione del leader degli industriali è diametralmente opposta rispetto a quella espressa precedentemente dal segretario generale della Cgil Maurizio Landini. Il quale aveva garantito al Governo rosso-giallo l’appoggio del sindacato a patto che non ascoltasse «altre sirene». Istanze dunque contrapposte, e non sono le uniche.
Se poi c’è curiosità per le fantomatiche “menti brillanti”, hanno declinato l’invito i giovani sciopera(n)ti che preferiscono allo studio le favole scandinave. O meglio, morettianamente protesteranno all’esterno, nel dubbio che li si possa notare di più se vanno e se ne stanno in disparte. Inoltre, per completare la pagliacciata vestiranno abiti settecenteschi e si doteranno di una ghigliottina, che in qualche modo misterioso ritengono «simbolo della crisi climatica».
Magari potrebbe anche essere un macabro riferimento a Luigi XVI, l’ultimo Re di Francia a convocare i veri Stati Generali nel 1789. Oltre a essere l’ennesima conferma che, più che a un Recovery Italia, siamo di fronte a un’Italia da ricovero.
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