Il nome di Aboubakar Soumahoro campeggia da giorni su tutti i principali giornali e telegiornali del Belpaese. Colpa dell’ormai arcinota vicenda relativa alle due cooperative “di famiglia” (dirette in realtà dalla moglie e dalla suocera). E che, a ben guardare, è stata gonfiata a dismisura da una serie di opposti estremismi sia politici che mediatici.
Il caso Soumahoro
Il caso Soumahoro è uno di quelli che, da qualunque prospettiva li si consideri, sembrano quasi impossibili da osservare senza i paraocchi dell’ideologia. E l’aspetto forse più ironico è che, se ci si limitasse ad analizzare i crudi fatti, sarebbe invece relativamente semplice da trattare.
Come sintetizza l’Agenzia Dire, tutto ruota intorno alla gestione poco limpida di due coop che davano lavoro a migranti (anche minorenni). Alcuni dei quali hanno denunciato di essere stati maltrattati, privati di acqua e luce, di operare in nero o di non ricevere lo stipendio da due anni.
Tuttavia, gli accertamenti della Procura di Latina riguardano la moglie e la suocera del deputato che, come ricorda tra gli altri Il Giornale, non è indagato. Eppure, rileva La Repubblica, si è autosospeso (chissà quanto volontariamente) dal gruppo parlamentare in cui era stato eletto da indipendente, Alleanza Verdi e Sinistra.
Opposti estremismi
Nel frattempo c’è chi, da un lato, pare aver già condannato a prescindere l’onorevole, reo soprattutto di “aver fatto carriera” difendendo i diritti degli immigrati. E, dall’altro, c’è chi invece pretenderebbe per il Nostro una sorta di immunità totale legata proprio alla sua attività da sindacalista. Senza rendersi conto – in entrambi i casi – che la gogna è insopportabile tanto quanto l’atteggiamento di chi, come Il Riformista, straparla di «giornalismo razzista».
Buonsenso vorrebbe che si aspettasse la fine dell’inchiesta prima di procedere con giudizi tranchant dal forte sapore di manicheismo. A oggi, al massimo si può affermare che il tentativo di Soumahoro di difendere la moglie appellandosi a un inesistente «diritto all’eleganza» è una caduta di stile. O che sostenere di aver comprato una villa da 450.000 euro grazie ai proventi di un libro, come riporta Il Messaggero, suona quantomeno poco attendibile. Ma, anche se di clamoroso autogol si trattasse, sarebbe comunque materia unicamente per la Guardia di Finanza.
La verità è che, per il momento, l’ex bracciante non è né un santo né un mostro, piuttosto è in una sorta di limbo. E, d’altronde, dicevano già gli antichi che in medio stat virtus: e siamo piuttosto certi che non si riferissero al dito.
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